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CROCIFISSO NELLE AULE DELLE SCUOLE PUBBLICHE ITALIANE: la EUROPEAN COURT OF HUMAN RIGHTS non constata violazioni Nella sentenza definitiva della Grande Chambre , pronunciata il 18 marzo 2011 nel caso Lautsi e altri c. Italia (ricorso no 30814/06), la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha concluso a maggioranza (quindici voti contro due) per la Non violazione dell’articolo 2 del Protocollo no 1 (diritto all’istruzione) alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è stata istituita a Strasburgo nel 1959 dagli Stati membri del Consiglio d’Europa per esprimersi sulle presunte violazioni della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo del 1950. Il caso riguardava la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche in Italia, incompatibile, secondo i ricorrenti, con l’obbligo dello Stato di rispettare, nell’esercizio delle proprie funzioni in materia di educazione e insegnamento, il diritto dei genitori di garantire ai propri figli un’educazione e un insegnamento conformi alle loro convinzioni religiose e filosofiche. I fatti: "I ricorrenti sono cittadini italiani, nati rispettivamente nel 1957, 1988 e 1990. La ricorrente, Sig.ra Soile Lautsi e i suoi due figli, Dataico e Sami Albertin, (“il secondo e terzo ricorrente”), sono residenti in Italia. Questi due ultimi ricorrenti erano iscritti nel 2001-2002 presso la scuola pubblica “Istituto comprensivo statale Vittorino da Feltre”, ad Abano Terme. Il crocifisso era affisso nelle aule dell’istituto. Il 22 aprile 2002, durante una riunione del consiglio d’istituto, il marito della ricorrente sollevò la questione della presenza di simboli religiosi, e del crocifisso in particolare, nelle aule chiedendone la rimozione. In seguito alla decisione del consiglio d’istituto di mantenere i simboli religiosi nelle aule, il 23 luglio 2002 la ricorrente adì il Tribunale Amministrativo Regionale del Veneto (T.A.R.) denunciando in particolare la violazione del principio di laicità. Il 30 ottobre 2003, il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – che nell’ottobre 2002 aveva adottato una direttiva secondo cui i dirigenti scolastici dovevano garantire la presenza del Crocifisso nelle aule scolastiche – si costituì parte civile nella procedura avviata dalla ricorrente il cui ricorso era, a suo avviso, infondato poiché la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche era prevista da due regi decreti del 1924 e 19283. Nel 2004, la Corte Costituzionale dichiarò l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale di cui era stata investita dal T.A.R. in quanto le disposizioni impugnate – cioè, gli articoli rilevanti dei due regi decreti -, di rango regolamentare e non legislativo, non potevano essere sottoposte ad alcun esame di conformità costituzionale. Il 17 marzo 2005, il T.A.R. rigettò il ricorso della ricorrente, ritenendo che le disposizioni dei regi decreti in questione erano ancora in vigore e che la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche non confliggeva con il principio di laicità dello Stato, che faceva “parte del patrimonio giuridico europeo e delle democrazie occidentali”. Più che un simbolo del solo cattolicesimo, il crocifisso fu considerato come simbolo del cristianesimo in generale e come tale rinviava anche ad altre confessioni. Il T.A.R. considerò inoltre che si trattava di un simbolo storico-culturale, dotato di una “valenza identitaria” per il popolo italiano, oltre che un simbolo del sistema di valori che innervano la Carta costituzionale. Con sentenza del 13 aprile 2006, il Consiglio di Stato, adito dalla ricorrente, confermò che la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche trovava la sua base legale nei regi decreti del 1924 e 1928 e che, tenuto conto del significato che bisognava attribuirgli, era compatibile con il principio di laicità. In quanto veicolo di valori civili che caratterizzano la civilizzazione italiana – tolleranza, tutela dei diritti della persona, autonomia della coscienza morale nei confronti dell’autorità, solidarietà, rigetto di ogni discriminazione – il crocifisso nelle aule poteva, in una prospettiva “laica”, avere una funzione altamente educativa. Doglianze, procedura e composizione della Corte Invocando gli articoli 2 del Protocollo no 1 (Diritto all’istruzione) e 9 della Convenzione (libertà di pensiero, di coscienza e di religione), i ricorrenti si lamentavano della presenza del crocifisso nelle aule della scuola pubblica frequentata dal secondo e terzo ricorrente. Invocando l’articolo 14 (divieto di discriminazione), i ricorrenti ritenevano che, per il fatto di non essere cattolici, avevano subito un trattamento discriminatorio rispetto ai genitori cattolici e ai loro figli. Il ricorso è stato introdotto davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo il 27 luglio 2006. Nella sentenza di Camera del 3 novembre 2009, la Corte ha concluso che c’è stata violazione dell’articolo 2 del Protocollo no 1 (diritto all’istruzione) esaminato congiuntamente all’articolo 9 (libertà di pensiero, di coscienza e di religione). Il 28 gennaio 2010, il Governo italiano ha chiesto il rinvio del caso davanti alla Grande Camera, secondo l’articolo 43 della Convenzione (rinvio dinnanzi alla Grande Camera) e il 1o marzo 2010, il collegio della Grande Camera ha accettato questa richiesta. Un’udienza di Grande Camera si è tenuta il 30 giugno 2010 a Strasburgo. A norma dell’articolo 36 § 2 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dell’articolo 44 § 2 del Regolamento della Corte Europea dei Diritto dell’Uomo, sono stati autorizzati a intervenire nella procedura scritta: - trentatré membri del Parlamento europeo intervenuti congiuntamente. - le organizzazioni seguenti non-governative: Greek Helsinki Monitor5; Associazione nazionale del libero Pensiero; European Centre for Law and Justice; Eurojuris; intervenuti congiuntamente: Commission internationale de juristes, Interights e Human Rights Watch; intervenuti congiuntamente: Zentralkomitee der deutschen Katholiken, Semaines sociales de France e Associazioni cristiane Lavoratori italiani. - i Governi di Armenia, Bulgaria, Cipro, Federazione russa, Grecia, Lituania, Malta, Monaco, Romania e della Repubblica di San Marino. I Governi di Armenia, Bulgaria, Cipro, Federazione russa, Grecia, Lituania, Malta e Repubblica di San Marino sono stati inoltre autorizzati a intervenire congiuntamente nella procedura orale. La sentenza è stata resa dalla Grande Camera di 17 giudici, composta da: Jean-Paul Costa (Francia), presidente, Christos Rozakis (Grecia), Nicolas Bratza (Regno Unito), Peer Lorenzen (Danimarca), Josep Casadevall (Andorra), Giovanni Bonello (Malta), Nina Vajic (Croazia), Rait Maruste (Estonia), Anatoly Kovler (Russia), Sverre Erik Jebens Norvegia), Päivi Hirvelä (Finlandia), Giorgio Malinverni (Svizzera), George Nicolaou (Cipro), Ann Power (Irlanda), Zdravka Kalaydjieva (Bulgaria), Mihai Poalelungi (Moldavia), Guido Raimondi (Italia), giudici, Oltre che da Erik Fribergh, cancelliere. Decisione della Corte Articolo 2 del Protocollo no 1 Dalla giurisprudenza della Corte emerge che l’obbligo degli Stati membri del Consiglio d’Europa di rispettare le convinzioni religiose e filosofiche dei genitori non riguarda solo il contenuto dell’istruzione e le modalità in cui viene essa dispensata: tale obbligo compete loro nell’“esercizio” dell’insieme delle “funzioni” che gli Stati si assumono in materia di educazione e d’insegnamento. Ciò comprende l’allestimento degli ambienti scolastici qualora il diritto interno preveda che questa funzione incomba alle autorità pubbliche. Poiché la decisione riguardante la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche attiene alle funzioni assunte dallo Stato italiano, essa rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 2 del Protocollo no 1. Questa disposizione attribuisce allo Stato l’obbligo di rispettare, nell’esercizio delle proprie funzioni in materia di educazione e d’insegnamento, il diritto dei genitori di garantire ai propri figli un’educazione e un insegnamento conformi alle loro convinzioni religiose e filosofiche. Secondo la Corte, se è vero che il crocifisso è prima di tutto un simbolo religioso, non sussistono tuttavia nella fattispecie elementi attestanti l’eventuale influenza che l’esposizione di un simbolo di questa natura sulle mura delle aule scolastiche potrebbe avere sugli alunni. Inoltre, pur essendo comprensibile che la ricorrente possa vedere nell’esposizione del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche frequentate dai suoi figli una mancanza di rispetto da parte dello Stato del suo diritto di garantire loro un’educazione e un insegnamento conformi alle sue convinzioni filosofiche, la sua ezione personale non è sufficiente a integrare une violazione dell’articolo 2 del Protocollo no 1. Il Governo italiano sosteneva che la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche rispecchia ancora oggi un’importante tradizione da perpetuare. Aggiungeva poi che, oltre ad avere un significato religioso, il crocifisso simboleggia i principî e i valori che fondano la democrazia e la civilizzazione occidentale, e ciò ne giustificherebbe la presenza nelle aule scolastiche. Quanto al primo punto, la Corte sottolinea che, se da una parte la decisione di perpetuare o meno una tradizione dipende dal margine di discrezionalità degli Stati convenuti, l’evocare tale tradizione non li esonera tuttavia dall’obbligo di rispettare i diritti e le libertà consacrati dalla Convenzione e dai suoi Protocolli. In relazione al secondo punto, rilevando che il Consiglio di Stato e la Corte di Cassazione hanno delle posizioni divergenti sul significato del crocifisso e che la Corte Costituzionale non si è pronunciata sulla questione, la Corte considera che non è suo compito prendere posizione in un dibattito tra giurisdizioni interne. Di fatto gli Stati contraenti godono di un certo margine di discrezionalità nel conciliare l’esercizio delle funzioni che competono loro in materia di educazione e d’insegnamento con il rispetto del diritto dei genitori di garantire tale educazione e insegnamento secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche. La Corte deve quindi di regola rispettare le scelte degli Stati contraenti in questo campo, compreso lo spazio che questi intendono consacrare alla religione, sempre che tali scelte non conducano a una qualche forma d’indottrinamento. In quest’ottica, la scelta di apporre il crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche rientra in principio nell’ambito del margine di discrezionalità dello Stato, a maggior ragione in assenza di un consenso europeo7. Tuttavia questo margine di discrezionalità si accompagna a un controllo della Corte, la quale deve garantire che questa scelta non conduca a una qualche forma di indottrinamento. A tal proposito la Corte constata che nel rendere obbligatoria la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche, la normativa italiana attribuisce alla religione maggioritaria del Paese una visibilità preponderante nell’ambiente scolastico. La Corte ritiene tuttavia che ciò non basta a integrare un’opera d’indottrinamento da parte dello Stato convenuto e a dimostrare una violazione degli obblighi previsti dall’articolo 2 del Protocollo no 18. Quanto a quest’ultimo punto, la Corte ricorda che ha già stabilito che, in merito al ruolo preponderante di una religione nella storia di un Paese, il fatto che, nel programma scolastico le sia accordato uno spazio maggiore rispetto alle altre religioni non costituisce di per sé un’opera d’indottrinamento. La Corte sottolinea altresì che un crocifisso apposto su un muro è un simbolo essenzialmente passivo, la cui influenza sugli alunni non può essere paragonata a un discorso didattico o alla partecipazione ad attività religiose. La Corte ritiene inoltre che gli effetti della grande visibilità che la presenza del crocifisso attribuisce al cristianesimo nell’ambiente scolastico debbono essere ridimensionati alla luce di quanto segue: tale presenza non è associata a un insegnamento obbligatorio del cristianesimo; secondo il Governo lo spazio scolastico è aperto ad altre religioni (il fatto di portare simboli e di indossare tenute a connotazione religiosa non è proibito agli alunni, le pratiche relative alle religioni non maggioritarie sono prese in considerazione, è possibile organizzare l’insegnamento religioso facoltativo per tutte le religioni riconosciute, la fine del Ramadan è spesso festeggiata nelle scuole...); non sussistono elementi tali da indicare che le autorità siano intolleranti rispetto ad alunni appartenenti ad altre religioni, non credenti o detentori di convinzioni filosofiche che non si riferiscano a una religione. La Corte nota inoltre che i ricorrenti non si lamentano del fatto che la presenza del crocifisso in classe abbia implicato delle pratiche di insegnamento volte al proselitismo o che i figli della ricorrente siano stati confrontati a un insegnamento condizionato da tale presenza. Infine la Corte osserva che il diritto della ricorrente, in quanto genitrice, di spiegare e consigliare i suoi figli e di orientarli verso una direzione conforme alle proprie convinzioni filosofiche è rimasto intatto. La Corte conclude dunque che, decidendo di mantenere il crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche frequentate dai figli della ricorrente, le autorità hanno agito entro i limiti dei poteri di cui dispone l’Italia nel quadro del suo obbligo di rispettare, nell’esercizio delle proprie funzioni in materia di educazione e d’insegnamento, il diritto dei genitori di garantire tale istruzione secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche; di conseguenza, non c’è stata violazione dell’articolo 2 del Protocollo no 1 quanto alla ricorrente. La Corte considera inoltre che nessuna questione distinta sussiste per quanto riguarda l’articolo 9. La Corte addiviene alla stessa conclusione per quanto concerne il secondo e terzo ricorrente. Articolo 14 : Nella sua sentenza di Camera la Corte ha ritenuto che, tenuto conto delle sue conclusioni in merito alla violazione dell’articolo 2 del Protocollo no 1, non c’era motivo di esaminare il caso dal punto di vista dell’articolo 14. Dopo aver ricordato che l’articolo 14 non ha esistenza propria ma ha valenza esclusivamente in relazione al il godimento dei diritti e alle libertà garantiti dalle altre disposizioni della Convenzione e dei suoi Protocolli, la Grande Camera stabilisce che, anche ad ammettere che i ricorrenti vogliano lamentarsi di una discriminazione nel godimento dei diritti garantiti dagli articoli 9 della Convenzione e 2 del Protocollo no 1, non si pone nessuna questione separata da quelle già decise nell’ambito dell’articolo 2 del Protocollo no 1. Non vi è dunque motivo di esaminare questa parte del ricorso. COMMENTI La decisione offre una corretta interpretazione del principio di laicità che comporta che i sentimenti religiosi della popolazione possano a pieno titolo partecipare alla formazione delle coscienze delle nuove generazioni. Inoltre conferma, anzi direi rilancia l’idea che la libertà di religione e l’esercizio del culto è una prerogativa dei credenti proprio quale conseguenza del principio di laicità: la legittimità dell’esposizione del crocifisso come simbolo religioso nelle scuole si realizza in questo contesto, riaffermando la prerogativa dei genitori di garantire ai loro figli un’educazione armonica con le loro convinzioni religiose, specie quando sono - come lo è il Cristianesimo - promotrici di pace e rispetto della persona umana."Questa decisione è estremamente positiva per l’Europa poiché possiede una profonda "portata unificatrice. La Corte ha inteso preservare l’unità profonda e l’interdipendenza che uniscono i valori spirituali e morali fondanti la società europea». », commenta il direttore dell’European Centre for Law and Justice, Grégor Puppinck, una delle terze parti intervenute davanti alla Grande Chambre Il ministro degli Esteri, Franco Frattini: "La sentenza della Grande Camera della Corte europea per i diritti dell`uomo (Cedu) ``aiuta a superare dei sintomi di laicismo pericoloso``. Il ministro dell`Istruzione Mariastella Gelmini: «Esprimo profonda soddisfazione per la sentenza della Corte di Strasburgo. Il Crocifisso sintetizza i valori del Cristianesimo, i principi sui cui poggia la cultura europea e la stessa civiltà occidentale: il rispetto della dignità della persona umana e della sua libertà. È un simbolo dunque che non divide ma unisce e la sua presenza, anche nelle aule scolastiche, non rappresenta una minaccia né alla laicità dello Stato, né alla libertà religiosa». «Una bella giornata per la libertà religiosa», sottolinea Massimo Introvigne, rappresentante dell’Osce per la lotta all’intolleranza e discriminazione contro i cristiani, sottolineando che «in questa materia è la prima volta che una decisione assunta all’unanimità in primo grado viene rovesciata in sede di ricorso». Il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi: "La nuova sentenza della Grande Chambre è benvenuta anche perché contribuisce efficacemente a ristabilire la fiducia nella Corte Europea dei diritti dell`uomo da parte di una gran parte degli europei, convinti e consapevoli del ruolo determinante dei valori cristiani nella loro propria storia, ma anche nella costruzione unitaria europea e nella sua cultura di diritto e di libertà". Secondo il giurista Antonio Gambino, la sentenza «rilancia l’idea che la libertà di religione e l’esercizio del culto è una prerogativa dei credenti proprio quale conseguenza del principio di laicità».
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