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LA TUTELA ESTERNA DELL’EREDE LEGITTIMARIO DEL DONANTE DA FIDEIUSSIONE BANCARIA CONCESSA A GARANZIA DEI DEBITI DEL DONATARIO

Sommario: 1. - Nullità della fideiussione bancaria e tutela quantitativa della legittima; 2. - Estinzione della fideiussione per fatto del creditore nell’ottica del principio di buona fede oggettiva; 3. - La fideiussione indennitaria nell’elaborazione della dottrina ed il suo crepuscolo legale.

1. Nullità della fideiussione bancaria e tutela quantitativa della legittima
La sentenza che qui si annota presenta profili importanti da segnalare visto che colpisce, seppur collocandosi sullo sfondo del rapporto una donazione intervenuta tra il garante e il debitore principale, una pratica da lungo tempo adottata dagli Istituti di credito in sede di fideiussione bancaria concessa per ragioni affettive o parentali, ove succedono per forza del contratto gli eredi del fideiussore che non abbiano provveduto ad accettare la sua eredità in forma beneficiata; pratica tal ultima che non trova soluzioni appaganti nel nostro sistema, nonostante costituisca un vulnus evidente per un ordinamento civile ed evoluto[1].
Ma, visitata da un altro angolo visuale, adotta una soluzione non proprio immune da rilievi atteso che richiama a sostengo del provvedimento conclusivo del giudizio per la declaratoria di nullità della fideiussione, esposta dal donante in favore della banca finanziatrice del figlio donatario, imprenditore, norme tra di loro disomogenee quali appaiono quelle tratte dagli artt. 1344 c.c., 1418 e 549 c.c.
L’art. 549 c.c., infatti, pur essendo dettato nello spartito relativo alla configurazione dei diritti spettanti ai legittimari, cui la legge riserva una quota di eredità secondo il richiamo dell’art. 536 c.c., sembra riferirsi, sul presupposto delle forme della delazione, esclusivamente a quella testamentaria, visto che il testatore non può imporre pesi e condizioni sulla quota riservata al legittimario, per il tempo in cui avrà cessato di vivere.
Il principio che la norma intende tutelare è quello della intangibilità della quota di legittima sul solo profilo quantitativo, essendone prova il fatto che sono salvate dal divieto le norme sulle divisione, sia per le modalità indicate dal testatore ( 733 c.c. ) che per la sua possibile postergazione ( 713 comma 3 ), sì che la disposizione testamentaria che compromette il diritto del legittimario istituito erede a conseguirla, siccome impedita da legati o condizioni sfavorevoli nel senso più ampio, sarebbe affetta da nullità[2].
Ed infatti, tutte le dinamiche processuali volte alla tutela dell’erede legittimario quando la sua aspettativa sia compromessa dal testamento avvengono dopo la morte del suo autore, che fino a tale momento esiziale della vita può revocare motu proprio nell’intimità del programma distributivo del patrimonio che residuerà alla morte, la scrittura unilaterale di sua creazione.
La donazione, di contro, è un contratto forzatamente inter vivos con effetti traslativi e/o costitutivi immediati, accompagnato da una pluralità di funzioni, quanto alle motivate che trascendono dal solo spirito di liberalità, sì che i vizi che la possano alterare in relazione alla causa o ai motivi sono immediatamente censurabili dal donante in vita, o da chi lo rappresenti nel caso di sua incapacità, e residualmente dai legittimari non donatari quando alla morte dell’attribuente residui un termine per la loro rilevazione giudiziale.
Venendo all’esame del caso di specie la declaratoria di nullità della fideiussione sui parametri generali degli artt. 1344 e 1418 c.c. realizza l’interesse di una sola parte, vale a dire quello dell’erede legittimario non donatario superstite, totalmente pretermesso dalla donazione del comune dante causa, che, per effetto del giudicato di nullità anzidetto, rientrerebbe in termini e senza rischi di rispondere in garanzia, per l’esercizio dell’azione di riduzione al fine di conseguire la quota riservata, che gli verrebbe restituita libera da ogni peso ivi iscritto ai sensi dell’art. 561 c.c. essendo la donazione di cui si tratta ancora immune dalle modifiche introdotte dall’art. 2 comma 4 novies della L. 14 maggio 2005, n. 80.
Ma con la morte del fideiussore si è verificata la successione nel contratto di tutti i suoi eredi stando al principio generale adottato dalla giurisprudenza, sì che il recesso disponibile al fideiussore, potrebbe essere esercitato dai successori solo nel modo e nei termini in cui tale facoltà era al medesimo consentita.
La motivazione della sentenza in commento, nella sua eccezionale brevità, appare pertanto eccessiva visto che l’opera del giudice forza una finalità che la norma contenuta all’art. 549 c.c. non possiede, in ciò forse impressionato dalla massiva e brutale composizione degli interessi dell’istituto finanziatore del figlio donatario, tramite fideiussione pura, la cui garanzia recuperatoria non poteva più trovare luogo nel patrimonio del donante che con l’attribuzione in esame si era del tutto esaurito[3]. Quanto, invece, alla funzione del controllo notarile in siffatte ipotesi, debbono pure avanzarsi delle perplessità, considerata la primaria funzione del notaio quale controllore dei diritti soggettivi in formazione conseguenti da particolari ipotesi negoziali per così dire “ pericolose “ di cui deve prevedere il livello di liceità con riferimento alla validità del contratto, avvisando del rischio i contraenti[4].

2. Estinzione della fideiussione per fatto del creditore nell’ottica del principio di buona fede oggettiva.
Venendo ora alla dinamica processuale si evince che la legittimaria non donataria non ha agito nella veste di erede pretermesso del donante, poi fideiussore della banca finanziatrice del comune figlio, titolare di ipoteca sui beni donati derivante da mutuo fondiario, visto che ha impugnato la fideiussione chiedendone la nullità in virtù della legittimazione generale tratta dalla regola processuale correlata all’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c., collegandosi il detto interesse, alla perdita del potenziale esercizio della riduzione prevista dalla legge in suo favore.
Ciò in quanto ha saputo per tempo dell’esistenza di tale contratto impegnativo, sapendo pure della donazione, ipotesi tal ultima plausibile per effetto degli stretti legami familiari correnti tra di loro, visto che la banca del tutto ingenuamente e con brutalità ha comunicato al coniuge del garante del preesistente vincolo della fideiussione che la impegnava solidalmente al dante causa in favore della banca medesima, da cui era possibile evincere il malcelato intento di dissuaderla dall’esercizio della riduzione.
Se tale organigramma le fosse rimasto ignoto ed avesse agito in riduzione avrebbe di converso accettato l’eredità considerato che in relazione al tenore dell’attribuzione donativa da cui conseguiva la sua totale pretermissione e dal concorso col legittimario donatario pari causa, non v’era la necessità di accettare col beneficio di inventario, secondo quanto prescrive l’art. 564 c.c, sì che ben altri scenari si sarebbero aperti con la scelta della tutela ereditaria, sul presupposto che era senz’altro succeduta prima nel contratto di fideiussione assumendo, col vincolo della solidarietà, le stesse obbligazioni assunte dal donante in garanzia.
Ma, a ben vedere, il rimedio ottenuto tramite la nullità della fideiussione, in altre parole, giova sia all’erede immediatamente che al debitore garantito dalla fideiussione rilasciata dal donante ormai incapiente, essendo sicuro che il debitore diverrà erede legittimario del primo ordine successorio ex art. 536 c.c., su quegli stessi beni perseguiti con la riduzione ed epurati dall’ipoteca nel frattempo iscritta dalla banca sugli immobili che ne costituivano l’oggetto.
Quindi l’avocazione dell’art. 549 c.c. per sostenere la nullità della fideiussione in esame argomentata sui parametri degli artt. 1344 e 1418 c.c. crea il presupposto di una aspettativa successoria del debitore della banca sui beni oggetto della garanzia, in seguito al vittorioso esperimento della riduzione da parte del legittimario pretermesso.
La dinamica successoria che si verifica in seguito all’analisi in subiecta materia della contrarietà della causa all’ordine pubblico ed al buon costume secondo il richiamo degli artt. 1343 e 1418 c.c, nonostante il giudice evochi la minore ipotesi del contratto in frode alla legge ex art. 1344 c.c. finisce, infatti, per crearne un’altra di uguale intensità negativa, vale a dire quella che consente al debitore originario, accertatosi del tutto inadempiente agli obblighi contratti con la banca, di ritornare titolare dei beni che gli spetteranno dopo la morte della madre sia direttamente che indirettamente ai suoi aventi causa nel caso di rappresentazione, laddove non voglia o non possa accettare[5].
Ciò consente di affermare che in relazione allo stesso ordine successorio si verificano dal lato dell’aspettativa dell’erede legittimario nei confronti del genitore conseguenze diverse da quelle che si sarebbero profilate nel caso in cui avessero agito i germani, laddove pretermessi dalla donazione, nei confronti dei quali non v’è riserva.
La tutela in riduzione dell’erede legittimario non donatario[6], vittorioso nel giudizio estintivo della garanzia fideiussoria non comporta, nel nostro caso, i problemi della restituzione, considerato che i beni oggetto della donazione non sono stati alienati a terzi, sì che la regola dell’art. 2562 n. 8, al fine di agire in facultate solutionis, non viene qui in rilievo essendo bastevole l’attivazione del giudizio di riduzione entro dieci anni dalla morte del donante, per consentire la retrocessione della quota ereditaria epurata dal peso ipotecario ivi gravante ai sensi dell’art. 561 comma 1 c.c.
Ora, data la complessità del diritto ereditario, non era, forse, più semplice sviluppare la nullità della fideiussione seguendo le regole del contratto ? Anche contro l’orientamento giurisprudenziale in tema di successione dell’erede nella fideiussione pura[7], specie con il recente ausilio proveniente dal criterio della buona fede integrativa dello statuto contrattuale, con riferimento all’abuso di posizione dominante di uno dei contraenti[8].
Ed invero, il donatario finanziabile dalla banca con una pluralità di contratti messi a sua disposizione al momento del rilascio della fideiussione da parte del donante divenuto per effetto della donazione del tutto impossidente, va qualificato imprenditore, qualifica tal ultima trascinata anche dalla verifica della qualità del compendio immobiliare donatogli, costituito in massima parte da beni produttivi, sì che il vulnus della fideiussione poteva essere rilevato con la sanzione di nullità generale prevista dal 1343 e 1418 c.c., senza l’inferenza delle regole successorie, visto che la banca ha inteso estendere le proprie garanzie ricuperatorie del credito, oltre che sui beni del debitore originario, già inseriti nel sul portafoglio, anche su quelli pervenutigli con la donazione del padre, correggendo il pericolo con la “ pretesa “ della fideiussione del donante, integrata dal vincolo di solidarietà ed indivisibilità dell’obbligazione fideiussoria nei confronti dei suoi aventi causa post mortem suam.
Riprendendo, ora, il narrato della sentenza, due giorni dopo il rilascio della fideiussione da parte del donante, pur essendo ormai nota la sua intervenuta impossidenza, la banca eroga il mutuo in favore del donatario, iscrivendo ipoteca sui beni oggetto della donazione.
Lo svolgimento dei fatti di causa, come venuti alla conoscenza del giudice, erano già gravidi di elementi idonei a consentire la destituzione degli effetti della fideiussione per abuso del creditore, essendo troppo evidente il suo comportamento doloso[9], visto che si è pure appreso della pendenza di un procedimento esecutivo coltivato dalla banca nei confronti del debitore principale su beni di sua esclusiva proprietà.
Seguendo il filo degli argomenti fin qui esposti e rimanendo ancora nell’ambito della disciplina della fideiussione pura, la norma che poteva essere adottata dal giudice è posta all’art. 1955 c.c., con la quale si afferma che la fideiussione si estingue quando, per fatto del creditore, non può aver luogo la surrogazione del fideiussore nei diritti di pegno, ipoteca e nei privilegi iscritti sul patrimonio del debitore principale.
E’ fuor di ogni ragionevole dubbio che né il fideiussore in vita, né i suoi aventi causa iure successionis avrebbero avuto una pur minima speranza di esercitare la surrogazione ed il regresso, previsti dagli artt. 1949 e 1950 c.c. in loro favore, nella spiegata qualità, sì che, senza altri ausili di rivalsa, la fideiussione si sarebbe estinta per fatto del creditore.
Ulteriori elementi, e tuttavia intimamente collegati alla fattispecie in esame si trovano pure nella norma dettata all’art. 1255 c.c., in tema di estinzione delle obbligazioni per confusione, con specifico riferimento all’ipotesi in cui la figura del debitore principale si confonda con quella di fideiussore, che nel nostro caso appare necessitata dal vincolo di solidarietà imposto agli eredi del fideiussore tra i quali figura pure il debitore garantito.
La fideiussione in tal caso rimane in vita quando il creditore vi abbia interesse, interesse tal ultimo, immediatamente neutralizzato dal richiamo dell’art. 1955 c.c. che espone di contro l’ipotesi della decadenza dalla garanzia quando essa sia intervenuta su di un patrimonio completamente occupato da altre iscrizioni in favore del creditore principale che di fatto impediscono i rimedi del regresso e della surrogazione. Tali presidi, previsti dalla legge in favore del fideiussore per dare un senso compiuto alla causa di garanzia, permettono di considerare la fideiussione naturalmente onerosa, sì che in loro assenza sembrerebbe una donazione con effetti obbligatori specie se, per patto interno, col debitore principale il fideiussore vi rinunci[10].
L’ultima ipotesi possibile da adottare per sconfiggere la pretesa della banca volta ad ottenere la fideiussione del donante, genitore del debitore garantito, riposa su rimedi già sperimentati da altri ordinamenti, ove le persone che stipulano sono veramente uguali senza l’inferenza di un super contraente cui riferire ogni possibile rivalsa al fine di sostenere le sue ragioni, vale a dire la declaratoria di nullità della fideiussione per difetto di causa quando manchi un interesse economico patrimoniale del fideiussore nell’impegno che assume in favore del creditore bancario, essendo esso determinato solo da ragioni affettive o parentali[11].

3. La fideiussione indennitaria nell’ elaborazione della dottrina ed il suo crepuscolo legale.
La composizione degli interessi che il giudice ha inteso combattere con la sentenza che qui si annota non è nemmeno lontanamente paragonabile a quelle costruzioni di ingegneria giuridica elaborate da lungo tempo dalla dottrina e dalla purezza dell’ars notarile, quando, cum grano salis, il donante esponga la necessità di tutelare il donatario grato e meritevole dell’attribuzione con l’adozione di un contratto di garanzia da collegare al successivo trasferimento che abbia ad oggetto i beni della donazione, compulsato dal bisogno di vendere da parte del donatario e pure con sofferenza, guardando al legame affettivo che di solito si nutre nei confronti del bene familiare.
In tali casi non v’è l’impresa del legittimario che costringe il genitore ad intervenire con la fideiussione garantita da beni di cui si è già spogliato per contenere gli effetti della crisi finanziaria nella quale sia caduto il figlio, bensì un programma distributivo di beni familiari all’interno della cerchia dei suoi aventi causa, una volta sperimentato il loro comportamento, unitamente alla condizione sociale da questi raggiunta durante la sua vita.
E come si è visto sopra, tale necessità nasce esclusivamente per la donazione pura, non essendo possibile immaginare la sopravvivenza di una tale garanzia in sede testamentaria, laddove il testatore imponesse con disposizione volontaria la costituzione di un vincolo di tal genere in capo agli altri eredi, sanzionabile con la declaratoria di nullità della disposizione che la possa contenere tramite l’invocazione del rimedio di cui all’art. 549 c.c.
La costituzione della garanzia in favore del donatario ed indirettamente per il terzo acquirente che acceda al finanziamento bancario ed ancora per la banca che intende mantenere senza rischi l’ipoteca, è in realtà il risultato di un ripensamento del donante che per remunerare con pienezza il donatario, meritevole, oppure bisognoso abbia adottato erroneamente lo schema generale della donazione pura.
Ma si può pure verificare il caso, molto vicino ai tempi moderni, che veda il donante cadere in stato di bisogno alimentare, da cui origina immediatamente l’obbligo del donatario di provvedere ai sensi dell’art. 437 c.c., salvo il caso della obnuziale ( 785 c.c. ) e della rimuneratoria ( 770 c.c. ) con precedenza su tutti gli altri obbligati ex art. 433 c.c.
E’ noto che in tali casi può giungersi, persistendo l’inadempimento del donatario, alla revoca della donazione per ingratitudine riguardo la mancata prestazione degli alimenti secondo la previsione dell’art. 801 c.c.
Se il donatario non può con le sue forze alimentare il donante bisognoso di assistenza, un serio e meritevole rimedio potrebbe vedersi nel ricorso al finanziamento bancario tramite mutuo cd. al bisogno[12] per evitare la vendita dell’immobile oggetto di donazione con tutte le sue conseguenze sul piano della riduzione e della restituzione disponibili ai legittimari non donatari.
Ed ancora, se il donante in quelle condizioni garantisca con fideiussione l’ipoteca che la banca pretende per la garanzia di un tale contratto di finanziamento, riteniamo che nessuna voce critica possa levarsi a contestare la meritevolezza della causa di una tale costruzione negoziale ove la donazione pura si eleva al livello delle motivate con una funzione attributiva variabile al bisogno del donante e del donatario che vuole adempiere in assenza di altri redditi sufficienti, per evitare la revocazione.
Deriva che la composizione della garanzia non deve vedersi solo attraverso la legittimità degli strumenti adottati al fine, bensì nella dinamica dei bisogni familiari successiva al contratto donativo originario, potendosi considerare la fideiussione il negozio più semplice e meno impegnativo per conseguire l’effetto di scoraggiare eventuali azioni rivolte alla tutela ereditaria dei legittimari non donatari, in sede di riduzione e restituzione, dopo la morte del donante.
Ed infatti, l’ampliamento della garanzia evizionale in favore del terzo acquirente del bene di provenienza donativa può raggiungersi con altri accordi, apparentemente leciti e meritevoli di tutela che vanno dalla vendita di cosa altrui, di cosa futura, alla risoluzione convenzionale argomentata ex art. 1372 c.c.[13], per ristrutturarla sotto forma di motivata modale ovvero, del tutto immoralmente, come trasferimento di immobile in cambio di assistenza che mette in pace ogni velleità di successiva contestazione dell’attribuzione da parte dei legittimari non “ beneficiati “, specie quando si rinunci all’alea tipica del contratto.
Nelle donazioni motivate modali e nella rimuneratoria non dovrebbe porsi la necessità di un ampliamento della garanzia evizionale in favore del donatario, considerato che l’art. 797 comma 3 c.c. la prevede espressamente ed in maniera sufficientemente chiara in capo al donante[14], specie quando in relazione alla sua vita contemplata il programma esecutivo degli obblighi cui si è sottoposto il donatario medesimo sia in una fase già avanzata[15]. Mentre, nel caso della rimuneratoria, la garanzia evizionale è proporzionale ex ante, al valore delle prestazioni eseguite dal donatario in relazione a quello della donazione fatta dal donante in suo favore, ove gli oneri e le prestazioni ricevute, in ogni caso, sono valutate dal medesimo con riferimento alle loro componenti anche immateriali, come ad esempio la compagnia e l’assistenza morale e spirituale che si collegano naturalmente a quelle materiali della prestazione mantenitoria od alimentare[16].
La fideiussione, data dal donante, per la costituzione della garanzia in favore del terzo acquirente, avente causa dal donatario e della banca che ha finanziato l’acquisto iscrivendo ipoteca sui beni oggetto della pregressa donazione, in tali casi è un mero riempitivo, volto a creare con caratteri più marcati l’effetto di deterrenza che scoraggia l’azione giudiziaria disponibile gli altri eredi legittimari non donatari, specie quando la lesione da questi subita sia contenuta in una modesta frazione della quota riservata.
Ed il bene di una tale composizione di interessi, procura indirettamente una soluzione alla inflazione dei giudizi ereditari che riempiono i Tribunali, di cui lo Stato ha inteso, in buona parte, liberarsi con la mediazione civile obbligatoria affidata a chiunque sappia solo leggere e scrivere, sì che il Notaio verificando il programma distributivo del patrimonio ereditario con donazioni che non pretermettano i legittimari non donatari, può, senza timore consigliare sulle motivate modali, sulle rimuneratorie, e sulle pure, costrette dal bisogno alimentare del donante, la chiusura derivante dalla fideiussione indennitaria il cui effetto deterrente è senz’altro compatibile al sistema.
Certo, se fossero i legittimari non donatari a concederla comprendendo la necessità di una tale costruzione saremmo in presenza dell’idillio familiare perfetto, ma dati i tempi attuali, ove i valori fondanti della solidarietà umana si sono del tutto dileguati per la bramosia dell’avere[17], tale aspettativa è difficile a realizzarsi con pienezza di intenti.
Rimanendo allora, nella posizione del donante, la fideiussione da lui concessa in garanzia, risulta semplice ed esente da costi, potendosi concludere anche con l’impegno unilaterale ex art. 1333 c.c. che nel caso di consenso non dichiarato e quindi morale degli aventi causa diretti, esclude la comparizione di costoro dinanzi al notaio, per effettuare all’atto la dichiarazione di volersi costituire fideiussori.
Con tale meccanismo emerge chiaramente la natura di atto inter vivos della fideiussione prestata dal donante che, come osservato dalla dottrina più costruttiva sul tema[18], esclude per effetto della immediata insorgenza dell’obbligo in capo a sé stesso, la disposizione mortis causa, vedendovi una residualità oggettiva di cui rispondono gli eredi dopo la sua morte, laddove provochino il giudizio.
Qui giunti, sia consentito proporre, a sostenere la serietà del meccanismo anzidetto, la diversa ipotesi in cui il genitore garantisca con fideiussione il contratto bancario del figlio, in assenza di attribuzioni gratuite o liberali intermedie, come sovente avviene in Italia, senza alcun controllo sulla causa di un tale impegno, all’insaputa degli altri suoi legittimari titolari di aspettativa ereditaria. Morendo il fideiussore in pendenza del contratto, gli eredi che nulla sanno, e nemmeno potrebbero sapere usando l’ordinaria diligenza, stante l’assenza di ogni forma percepibile di pubblicità, succederanno nel contratto, e risponderanno anche ultra vires del debito assunto dal loro pari causa per come garantito dal fideiussore, laddove non si siano dotati di accettazione beneficiata.
Nessun grido di ingiustizia si leva in tale ipotesi, nonostante la fideiussione prestata gratuitamente dal dante causa comune in favore di uno dei suoi figli, possa considerarsi, nella sua fase iniziale, una donazione costitutiva di obbligazione[19], cui si giunge per via indiretta ex art. 809 c.c., ove succedono per la forza del contratto ed in virtù di una perversa causa successoria, tutti i suoi eredi con la relazione del grado parentale, che abbiano del caso accettato tacitamente ai sensi dell’art. 476 c.c.
Ed allora il ragionamento che vale la pena di proporre in tali casi è quello della moralità giuridica di certe costruzioni del nostro diritto successorio, che è ancora fissato, nonostante l’esigenza di competitività che da alcune parti si propone, sulla regola ferrea prevista dal combinato dell’art. 458 e 557 comma 2 c.c.
In assenza di una normativa chiara e percorribile senza il rischio di cadere nella trappola del divieto dei patti successori, esso si è voluto aggirare con quella fantasia giuridica, tutta italiana, che consente al giurista di mettere in evidenza sé stesso quando dal suo pensiero sortisca una soluzione per combattere un rigore legale ormai del tutto obsoleto ed anacronistico[20].
Ma anche le mirabili costruzioni del giurista volte ad attenuare il rigore del divieto vanno morendo, quando prenderà vigore la volontà del legislatore interessato a rendere competitivo tutto il sistema delle donazioni, con il varo della L. 14 maggio 2005, n. 80, che con l’art. 2 comma 4 novies ha apportato sostanziali modifiche agli artt. 561 e 563 c.c., unitamente alla L. 14 febbraio 2006, n. 55, già applicabile ma in parte incompresa[21], istitutiva del patto di famiglia che con l’art. 2 aggiunge alla divisione ereditaria tradizionale gli artt. 768 bis – 768 octies, con deroga parziale dell’art. 458 c.c.
Ci basterà osservare, al fine di rimarcare il modo delle recenti riforme legislative, che i contenziosi nascenti dal patto di famiglia, a far data dal 21 marzo 2011, in esecuzione del D.lgs. 4 marzo 2010 per l’attuazione dell’art. 60 della L. 18 giugno 2009 n. 69, in tema di mediazione civile e commerciale obbligatoria, sono affidati al mediatore professionista, che in poche ore di corso formativo avrà sicuramente imparato e risolto tutto quello che sfugge alla ricerca scientifica.
Senza scendere nel dettaglio di tali introduzioni legislative di cui ci siamo forse troppo occupati e con sofferenza nel recente passato, può dirsi che le esigenze del legislatore attuale sono sempre collegate alle economie dei cd. super contraenti, quali gli istituti di credito e le grandi imprese che realizzano gli effetti maggiori della legge, lasciando il diritto ereditario familiare, vale a dire quello dei piccoli patrimoni privi di interessi economici di grande impatto, del tutto incompiuto[22].

(seguono le note e la sentenza)

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