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Sulla questione della legittimità del divieto di fecondazione eterologa è intervenuta anche la Corte europea dei diritti dell’uomo (vedi in allegato testo integrale della sentenza 1° aprile 2010) su ricorso di due coppie austriache sterili che contestavano la legge del proprio Paese, stabilendo che il divieto assoluto di fecondazione eterologa non è compatibile con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), comportando una lesione del diritto alla vita familiare ed una infrazione al divieto di discriminazione, in violazione dell’art. 8 di detta Convenzione, che sancisce il rispetto della vita privata e familiare.
Per la Corte di Strasburgo, infatti, l’art. 8 della CEDU va inteso in un’accezione ampia, in grado di ricomprendere anche la scelta di diventare genitori, per cui il diritto di avvalersi di tecniche di procreazione medicalmente assistita allo scopo di concepire un bambino costituisce espressione della vita privata e familiare.

Tanto premesso, persone che si trovano in una stessa situazione di infertilità non possono essere trattate diversamente solo in ragione della diversa tecnica di fecondazione da praticare, con la logica conseguenza che, se un Paese consente la fecondazione omologa, non può vietare quella eterologa.

Successivamente, la Grande Camera della Corte europea dei diritti umani, al cui giudizio collegiale è ricorsa l’Austria, con una netta inversione di rotta, ha di fatto dato ragione al Governo austriaco, affermando che il divieto del ricorso alla fecondazione eterologa non comporta una violazione dell’art. 8 della CEDU. Anzi, con il legittimare le pratiche di fecondazione eterologa, che prevedono l’intervento di una terza persona che fornisce ovuli o spermatozoi, si rischierebbe di dar vita a legami inusuali sotto il profilo biologico (sent. 3 novembre 2011, n. 5781/00).

In Austria la normativa sulla fecondazione assistita consente solo la donazione di gamete maschile in vivo, e non in vitro, e vieta la donazione di gamete femminile.
La sentenza stabiliva che la decisione del Tribunale austriaco non era in violazione della Convenzione dei diritti dell`uomo.
La Corte aveva dunque deciso che non c`era stata la violazione dell`articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione dei diritti dell`uomo.

La Corte ritiene che là dove non esista un consenso diffuso e uno standard unico tra gli Stati contraenti circa una determinata materia debba essere garantito alle autorità nazionali un ampio margine di discrezionalità.
Pertanto, non costituisce una violazione dell’articolo 8, riguardo il rispetto della vita familiare, la mancata previsione all’interno del diritto di famiglia nazionale di uno strumento legislativo che garantisca il riconoscimento della paternità agli individui transessuali.

Dai lavori preparatori della legge n.40/2004, appare chiaro che il divieto italiano di procreazione eterologa deriva dalla necessità di evitare, a tutela del bambino, la frammentazione delle figure parentali (due madri: genetica e biologica o due padri), “l’allontanamento da modelli di genitorialità socialmente consolidati” e la salvaguardia del diritto di conoscere le proprie origini genetiche.

Secondo alcuni autori pero’ il diritto di conoscere le proprie origini genetiche non sarebbe assoluto. Pregnante sarebbeanche la constatazione secondo cui il divieto di fecondazione eterologa rischia di ledere la salute delle coppie sterili o infertili costrette a sottoporsi a “pratiche mediche meno indicate, dai risultati più incerti e magari pericolosi per la salute.

 
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