3.Interpretazione letterale. L`interpretazione letterale del nuovo testo delle norme in esame, pur se applicato a tutte le donazioni, anche se già stipulate all`entrata in vigore della L. n. 80/2005, conduce, tuttavia, a mio avviso, a soluzione non appaganti, e contrarie alla ratio legis. Il testo di legge, infatti, asetticamente interpretato, consentirebbe al coniuge ed ai parenti in linea retta del donante di rinunciare alla sola opposizione stragiudiziale. La mera rinuncia, restrittivamente intesa, avrebbe la conseguenza di impedire l`effetto interruttivo del termine ventennale, affidando la tutela dei successivi aventi causa al mero decorso del tempo, ed alla speranza nella lunga vita del donante. Con la conseguenza, veramente aberrante, che la morte del donante anteriormente al decorso del ventennio, con la connessa apertura della successione di quest`ultimo, consentirebbe al coniuge e parenti in linea retta, divenuti legittimari, di esperire l`azione di riduzione, ed all`esito, anche l`azione di restituzione nei confronti dei successivi acquirenti, sostanzialmente revocando la rinuncia all`opposizione. Con conseguente dubbia legittima costituzionale per violazione dell`art. 3 Cost. per un`ingiusitificata disparità di trattamento, in caso di rinuncia all`opposizione, tra aventi causa di donatari con donante longevo, e aventi causa di donatari di donante scomparso prima del ventennio dalla trascrizione della donazione. Art. 4 Interpretazione evolutiva La nuova normativa, tuttavia, consente, se interpretata evolutivamente, di giungere a conclusioni maggiormente appaganti e coerenti alla ratio della legge. E’ possibile, infatti, ritenere, come cercherò di dimostrare in questo paragrafo, che sia legittimo nel nostro ordinamento rinunciare, anteriormente all’apertura della successione, all’azione di restituzione nei confronti dei successivi acquirenti. Tale soluzione, in apparenza iconoclasta, è, però, ben più aderente al nostro sistema giuridico, alle luce dei nuovi principi introdotti dalla L.n. 80/2005, di quanto potrebbe ritenersi. Punto di partenza di questa ricostruzione è il principio che nel nostro ordinamento l’azione di riduzione e l’azione di restituzione nei confronti dei successivi acquirenti, sono due azioni nettamente diverse, e distinte. Le due azioni divergono sia in ordine alla legittimazione passiva, sia in ordine alla causa petendi, sia in ordine al petitum. Le sostanziali diversità summenzionate conducono ad affermare che esse non possono essere neppure proposte cumulativamente e contestualmente, essendo l’azione di restituzione, anche se proposta contro gli stessi donatari, successiva all’esito dell’azione di riduzione, come evidenziato dallo stesso testo dell’art. 563 c.c. (inciso non toccato dalla l. n. 80/2005), che afferma che la seconda azione può essere proposta solo contro i donatari contro i quali è stata “pronunziata” la riduzione, facendo chiaramente riferimento al passaggio in giudicato della sentenza. Non potrebbe, pertanto, ipotizzarsi neppure un litisconsorzio necessario tra donatario e successivo acquirente. La conclusione in ordine alla diversità delle due azioni è avvalorata anche da un argomento di carattere storico. Nel codice del 1865, infatti, le due azioni erano cumulabili, come evidenziato dal testo dell’art. 1096 che le menzionava in un’ endiadi “l’azione per la riduzione e per la rivendicazione possono proporsi dagli eredi contro i terzi detentori”, lasciando chiaramente intendere con l’uso del singolare che fossero considerate un’azione unica, a differenza dell’attuale testo dell’art. 563 c.c. Alla luce delle superiori argomentazioni può tranquillamente affermarsi che l’articolo 557 c.c. vieta solo la rinuncia all’azione di riduzione in vita del donante, e non certo la diversa azione di restituzione. Su tale stato di cose interviene la L. n. 80/2005, che, al dichiarato fine di favorire la circolazione degli immobili già oggetto di donazione, introduce nel nostro ordinamento, come evidenziato nel paragrafo 2, tre nuovi principi: a) introduce la tutela dell’aspettativa di successione, consentendo di opporsi alla donazione in vita del donante; b) ritiene tale aspettativa disponibile per i suoi titolari in vita del donante, consentendo la rinuncia all’opposizione; c) ritiene legittimo che la tutela dei legittimari degradi, con il consenso degli aventi diritto, da reale ad obbligatoria, consentendo che la rinuncia all’opposizione, unita al decorso del ventennio, inibisca l’azione di restituzione. L’insieme di questi tre principi, unita alla circostanza che l’art. 557 c.c. si riferisce alla sola azione di riduzione, (sul cui contenuto la L. n. 80/2005 non ha minimamente inciso), consente di affermare che la rinuncia all’azione di riduzione contro i successivi aventi causa del donatario, è ammissibile in vita del donante, con la conseguenza di rendere inattaccabile l’acquisto. Tale rinuncia, infatti, altro non è che un atto dispositivo di un’aspettativa successoria, disponibile per gli aventi diritto, che ha l’effetto di rendere obbligatoria e non reale la tutela di un loro diritto. La compatibilità di questa rinuncia con il nostro ordinamento è corroborata,a mio avviso, dall’esistenza nel nostro ordinamento dell’istituto della transazione. Con la transazione, infatti, ai sensi del chiaro testo dell’art. 1965 c.c., le parti possono prevenire “una lite che può sorgere tra loro” , e la norma non pone alcun limite temporale all’anteriorità della transazione rispetto alla lite. L’unico limite alla transigibilità è dato dall’art. 1966 c.c. che ritiene nulla la transazione di diritti sottratti alla disponibilità delle parti. A me pare che alla luce di quanto sopra menzionato il coniuge o i parenti in linea retta del donante che rinunciassero all’azione di restituzione nei confronti del successivo acquirente del donatario, in vita del donante, altro non farebbero che transigere una lite che potrebbe sorgere, rinunciando ad un diritto che il nuovo testo dell’art. 563 ha per loro reso disponibile anteriormente all’apertura della successione. A tale soluzione potrebbe obiettarsi sostenendo che tale rinuncia violi il divieto di patti successori c.d. rinunciativi di cui all’art. 458 c.c., ossia i patti con cui “taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta”. Ma secondo parte della dottrina l’articolo 458 si riferisce alla rinuncia all’eredità o al legato a favore del chiamato in subordine o al con chiamato, e non alle azioni in giudizio. Tale ricostruzione spiegherebbe anche l’esistenza nel nostro ordinamento dell’art. 557 c.c., che sarebbe una norma inutile se l’art. 458 si riferisse anche all’azione di riduzione. Pertanto se il legislatore avesse ritenuta nulla la rinuncia anche all’azione di restituzione lo avrebbe affermato in “sedes materiae”, ossia nell’art. 557 c.c.
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