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CONVEGNO SU ENFITEUSI Ragusa 5 dicembre 2009


La parola alla dottoressa Monica Zema:
“Questioni possessorie in tema di enfiteusi”
Possesso in genere
Al fine della sussistenza del possesso è necessario che il soggetto abbia il corpus possessionis, inteso come disponibilità materiale della cosa e, cioè, come mera possibilità di utilizzarla, nonché l’animus possidendi. 
Provato l’elemento oggettivo, quello soggettivo si presume e grava su chi contesta provare che l’attività materiale – che, come sopradetto, può configurarsi nella semplice possibilità di usare del bene -  era dovuta all’altrui tolleranza (cfr. in questo senso, tra le tante, Cass. 23 maggio 2000 n. 6738, Cass. 13 aprile 2000 n. 4810 e Cass. 25 marzo 1997 n. 2598). Peraltro, quel che qualifica il rapporto con la cosa per ragioni di mera tolleranza,  è il carattere tipicamente saltuario e transitorio dell’ingerenza (soggetta alla mera permissio del proprietario) che comporta un godimento di modesta portata, incidente molto debolmente sull`esercizio del diritto da parte dell`effettivo titolare o possessore e che espone chi ha ricevuto il bene a doverlo immediatamente riconsegnare ad ogni richiesta, ancorché capricciosa, del concedente; laddove, invece, nel caso di possesso,  manca senz’altro in capo al possessore  l’animo di essere soggetto alla volontà dell’effettivo titolare, di essere pronto a restituire la cosa alla prima richiesta e, quindi, di essere soggetto alla mera permissio di quest’ultimo.
Nell`indagine diretta a stabilire, alla stregua di ogni circostanza del caso concreto, se un`attività corrispondente all`esercizio della proprietà o altro diritto reale sia stata compiuta con l`altrui tolleranza e, quindi, sia inidonea all`acquisto del possesso, la lunga durata dell`attività medesima può integrare un elemento presuntivo, nel senso dell`esclusione di detta situazione di tolleranza, qualora si verta in tema di rapporti non di parentela, ma di mera amicizia o buon vicinato, tenuto conto che nei secondi, di per sè labili e mutevoli, è più difficile il mantenimento di una situazione di tolleranza per un lungo arco di tempo (Cass., 8194/2001; 2004/18651 e 2004/15739). In tema di acquisto di un diritto reale per usucapione, rientra nei normali poteri di valutazione probatoria del giudice la qualificazione degli atti che vengono invocati come esercizio di  fatto del diritto, quali atti di mera tolleranza, in considerazione della strutturale saltuarietà degli stessi, senza che la controparte sia gravata dell`onere di provare tale specifica inidoneità ad integrare il possesso "ad usucapionem".  Diversamente, nelle azioni esclusivamente possessorie la natura giuridica dell`esercizio degli atti di tolleranza deve essere eccepita e provata dalla parte che la deduce. Sul punto la Suprema Corte con la sentenza n. 21016 del 2008 così si esprime:
<< È vero che questa S.C. ha affermato che l`animus possidendi è normalmente insito nell`esercizio del potere di fatto attraverso  il quale esso si manifesta e pertanto ove si assuma che l`esercizio avvenga per mera tolleranza spetta a chi ciò adduce darne la prova (sent. 25 marzo 1997 n. 2598; 16 ottobre 1995 n. 10771; 1 marzo 1993 n. 2520), ma tale principio può trovare applicazione quando si discuta della esistenza o meno del possesso, il cui acquisto non richiede una particolare durata dell`esercizio di fatto di un diritto reale, per cui la saltuarietà e transitorietà dello stesso e la consapevolezza da parte del beneficiario che il godimento può essere fatto cessare in qualsiasi momento con un atto di proibizione del dominus possono non essere immediatamente percepibili, donde la necessità  che la tolleranza venga provata da chi la eccepisce. Diverso è il discorso quando si controverta in tema di acquisto di servitù per usucapione, rientrando nei normali poteri di valutazione delle prove spettanti al giudice l`esclusione della idoneità degli atti che vengono invocati come esercizio di fatto della servitù a costituire un possesso ad usucapionem, in considerazione soprattutto della saltuarietà degli stessi. In tal caso non è necessaria una espressa prova della tolleranza, risultando essa dalla natura stessa di tali atti.>> Possesso a titolo di enfiteusi (cd. dominio utile)
Godimento caratterizzato da ampia facoltà di disposizione e da limiti (obbligazioni enfiteutiche: pagam. canone; apporto di miglioramenti; effettuare ricognizione del diritto del concedente se richiesto ex  art. 969 cc) e, pertanto, dal riconoscimento del diritto del concedente.
Possesso ad usucapionem.  Va premesso che secondo la giurisprudenza pacifica della Suprema Corte, in tema di possesso ad usucapionem di beni immobili, la fattispecie acquisitiva del diritto di proprietà si perfeziona allorché il comportamento materiale - continuo ed ininterrotto - si manifesta  in un`attività apertamente ed obiettivamente contrastante con il possesso altrui e rivela in modo certo ed inequivocabile l`intenzione dell’agente di comportarsi come titolare di un determinato diritto reale.  Il puro fatto materiale del comportamento continuo ed ininterrotto attuato sulla res non solo non consente, di per sè, di distinguere il possesso dalla detenzione ma non permette neppure di escludere la tolleranza e di ravvisare, quindi, l`inerzia del titolare contro il quale matura l`usucapione e, soprattutto, non conferisce al possesso quel carattere di univocità, sia oggettiva che soggettiva, che consente di individuare il contenuto del corrispondente diritto reale asseritamente acquistato.  L`elemento soggettivo, di volta in volta qualificato intenzione o animus, viene, infatti, ritenuto elemento indispensabile del possesso ad usucapionem dalla migliore dottrina e dalla costante giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione.
Pertanto, la fattispecie del possesso ad usucapionem, se corrispondente al diritto di proprietà, si realizza, come sopra detto, quando la piena ed esclusiva signoria di fatto renda palese a tutti l`intenzione di voler esercitare sulla cosa il potere corrispondente ad un determinato diritto reale.
E’ necessario, quindi, che si dimostri di aver tenuto un comportamento incompatibile con il possesso altrui e rilevatore in modo in equivoco dell`intenzione di voler esercitare sulla cosa il potere corrispondente a quello del diritto reale che si afferma di aver usucapito.
Nel caso di enfiteusi, l’adempimendo delle obbligazioni tipiche dell’enfiteuta deve avvenire nei confronti del proprietario e non nei confronti di altro soggetto, diversamente il soggetto non potrebbe usucapire, tranne nell’ipotesi in cui l’accipiente usucapisse contemporaneamente (o prima) il diritto di proprietà (usucapione del dominio diretto).
L’usucapione del diritto di enfiteusi può avvenire in danno del proprietario, se idoneo a far sorgere per la prima volta un’enfiteusi, ovvero in danno del precedente enfiteuta.
Durata: quando la durata del diritto di enfiteusi oggetto di usucapione non può desumersi dal comportamento delle parti si ritiene indeterminata; ed invero, non può ricavarsi dal codice  civile una presunzione a favore della perpetuità del diritto e, ciò, in ossequio al principio che impone un’interpretazione restrittiva dei vincoli della proprietà.
Inizio del rapporto enfiteutico: se si sposa la tesi dell’efficacia retroattiva dell’usucapione, il rapporto enfiteutico va considerato iniziato sin dal momento in cui ha avuto inizio il possesso; da quel momento andranno allora calcolati i termini per la durata minima dell’enfiteusi che, quindi, sarà affrancabile nello stesso momento in cui il diritto è usucapito; da quel momento, inoltre, saranno validi gli atti di disposizione compiuti dall’usucapiente e inefficaci quelli compiuti dal precedente titolare.
La Suprema Corte con sentenza del 2000 la n. 8792 ha ritenuto che l`usucapione compiutasi all`esito di possesso ventennale esercitato da un soggetto privo di titolo trascritto estingue le iscrizioni e trascrizioni risultanti a nome del precedente proprietario (tale effetto estintivo riconducendosi non già ad una presunta "usucapio libertatis", bensì all`efficacia retroattiva dell`usucapione stessa), con la conseguenza che il notaio rogante nella successiva vendita del bene compiuta dall`usucapiente non è tenuto a verificare l`esistenza di iscrizioni o trascrizioni pregiudizievoli di data anteriore a quella della trascrizione della sentenza di accertamento dell`intervenuta usucapione.
Usucapione decennale 1159: acquisto a non domino in buona fede  in virtù di titolo trascritto:
deve provenire da chi non è titolare del diritto: quindi, se c’è una precedente enfiteusi, il titolo idoneo può provenire dal concedente ma non dall’enfiteuta. Non sarebbe più un acquisto a non domino
Egualmente, l’usucapione decennale del diritto del concedente può avvenire a mezzo di un titolo proveniente dall’enfiteuta e non dal concedente.
 Usucapione diritto del concedente (c.d. dominio diretto)
Può essere usucapito dall’enfiteuta solo a seguito dell’interversione del possesso di cui all’art. 1164 cc che recita: "Reale su cosa altrui non può usucapire la proprietà della cosa stessa, se il titolo del suo possesso non è mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il diritto del proprietario. Il tempo necessario per l`usucapione decorre dalla data in cui il titolo del possesso è stato mutato>>
Quando inizia l’enfiteuta a possedere al fine di usucapire il dominio diretto?
E’ necessario che abbia mutato il suo possesso estendendolo a quello del proprietario e , cioè, al dominio diretto.  Nel nostro ordinamento giuridico ciò può avvenire solo in casi tipici, espressamente previsti dalla legge e, precisamente, dall’art. 1164  cc, secondo cui il titolo del possesso può mutare <<  per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione fatta da lui contro il diritto del proprietario  >>.  Sul punto si osserva che è pacifico in dottrina e giurisprudenza che l’interversione per opposizione - che non può avvenire mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in un fatto esterno, da cui sia consentito desumere che il possessore del diritto reale di godimento ha cessato di esercitare il potere di fatto sulla cosa a tale titolo ed ha iniziato ad esercitarlo esclusivamente a titolo di proprietario - si può realizzare anche mediante il compimento di attività materiali, ma è necessario che l`attività materiale sia tale da manifestare inequivocabilmente l`intenzione di esercitare il potere esclusivamente come proprietario, da rendere, cioè, esternamente riconoscibile all`avente diritto l`"animus" di vantare per sè il diritto esercitato (gli stessi principi operano per il caso di mutamento della detenzione in possesso ex art. 1141 cc, Cass., 1995/1802).
A tal fine sono inidonei gli atti che si traducono nell`inottemperanza alle pattuizioni in forza delle quali il possesso del diritto reale era stato costituito (verificandosi in questo caso un’ordinaria ipotesi di inadempimento contrattuale) ovvero si traducono in meri atti di esercizio del possesso a  titolo di proprietà (verificandosi in tal caso un’ipotesi di abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene); se non accompagnati da uno specifico atto d`interversione, configurano soltanto un comportamento di inadempienza contrattuale (Cass., 1986/5466). Bisogna distinguere i casi in cui, venendo meno ai suoi doveri contrattuali, l’enfiteuta si arroghi i poteri del proprietario possessore (interversio) da quello in cui  si rifiuti null’altro aggiungendo (mero inadempimento).
La conseguenza, quindi, è che la mancata restituzione del bene alla scadenza contrattuale, il mancato pagamento del canone, il mancato miglioramento non integra di per sé un’interversio possessionis ovvero uno spoglio ma solo un inadempimento contrattuale.
I suddetti comportamenti integrano uno spoglio solo quando l’enfiteuta opponga al concedente un proprio possesso a titolo di proprietario affermando, per esempio, di aver usucapito ovvero acquistato il diritto di proprietà  .
Più precisamente, è necessario valutare di volta in volta l’atteggiamento che l’enfiteuta assume al momento della richiesta di restituzione del bene per scadenza del contratto ovvero del pagamento del canone da parte del concedente: se adduce ragioni inerenti alla sussistenza, alla validità oppure alla continuazione del rapporto contrattuale sottostante o anche si rifiuta semplicemente di restituire la cosa null’altro aggiungendo, non si verifica un’interversio possessionis perché l’enfiteuta non si arroga i poteri del proprietario, ma continua sostanzialmente a riconoscerlo come tale, limitandosi ad invocare un rapporto obbligatorio pienamente compatibile con il << dominio >> del proprietario-possessore ovvero rendendosi solo inadempiente all’obbligo di restituzione o di pagamento.
Va evidenziata un’ipotesi particolare: l’ipotesi in cui il contratto preveda una clausola risolutiva espressa  (art. 973 cc)  L’art. 1456 cc, rubricato “Clausola risolutiva espressa” recita:  << [I] I contraenti possono convenire espressamente che il contratto si risolva nel caso che una determinata obbligazione non  sia adempiuta secondo le modalità stabilite. [II]. In questo caso, la risoluzione si verifica di diritto [1517]  quando la parte interessata dichiara all`altra che intende valersi della clausola risolutiva>>. In base alla disciplina codicistica, la richiesta di rilascio conseguente alla dichiarazione del concedente di volersi valere della clausola, determina la cessazione ipso iure del rapporto contrattuale.
La Terza Sezione Civile del Tribunale di Catania in più occasioni ha ritenuto che il mancato rilascio dell’immobile, nonostante il venir meno di un titolo giustificativo a seguito della cessazione ipso iure del rapporto contrattuale della detenzione o, per l’ipotesi che ci interessa, del possesso del fondo a titolo di diritto di enfiteusi, rende evidente la volontà del detentore o dell’enfiteuta di tenere la cosa per sé al di fuori dei termini dell’originario contratto: deve, quindi, ravvisarsi la sussistenza degli estremi oggettivo e soggettivo dello spoglio del possesso del dominio diretto nel comportamento dell’enfiteuta che, una volta risolto il contratto ai sensi del secondo comma dell’art. 1456, si rifiuti di consegnare la cosa al proprietario privandolo così dell’esercizio del potere di fatto e manifestando una volontà rem sibi habendi in opposizione alla contraria volontà del concedente. Una volta riconosciuto che la mancata restituzione del bene nei termini di cui sopra configura spoglio, va stabilito se questo debba essere qualificato come violento ai fini della proposizione dell’azione di cui all’art. 1168 cc, ravvisandosi la violenza nella mera contrarietà dell’atto alla volontà del possessore, o, invece, debba considerarsi come spoglio semplice contro cui è dato agire con l’azione recuperatoria prevista dall’art. 1170, comma 3°, cc,  secondo cui  << Anche colui che ha subito uno spoglio non violento o clandestino può chiedere di essere rimesso nel possesso, se ricorrono le condizioni indicate dal comma precedente >. Si ritiene che un mero atto di rifiuto (senza alcun comportamento attivo da parte dello spoliator) escluda qualsiasi forma di violenza o clandestinità e che, quindi, lo spoglio debba essere qualificato come spoglio c.d. “semplice” a cui può reagirsi  con l’azione di cui all’art. 1170, comma 3°, cc. Infine, va evidenziato che per aversi possesso tutelabile non è necessario il consenso del titolare del diritto reale.  La giurisprudenza è pacifica nel ritenere che in tema di usucapione, il rinvio dell`art. 1165 cod. civ. alle norme sulla prescrizione in generale e, in particolare, a quelle dettate in tema di sospensione ed interruzione, incontra il limite della compatibilità di queste con la natura stessa  dell`usucapione, non è consentito attribuire efficacia interruttiva del possesso se non ad atti che comportino, per il possessore, la perdita materiale del potere di fatto sulla cosa, oppure ad atti giudiziali siccome diretti ad ottenere, "ope iudicis", la privazione del possesso nei confronti del possessore usucapente, con la conseguenza che mentre può legittimamente ritenersi atto interruttivo del termine della prescrizione acquisitiva la notifica dell`atto di citazione con il quale venga richiesta la materiale consegna di tutti i beni immobili dei quali si vanti un diritto dominicale, atti interruttivi non risultano, per converso, ne` la diffida ne` la messa in mora, potendosi esercitare il possesso anche in aperto contrasto con la volontà del titolare del corrispondente diritto reale (Cass., 2003/9845).
USUCAPIONE SPECIALE PER LA PICCOLA PROPRIETA’ RURALE Particolare figura di usucapione prevista dall’art. 1159 bis cc introdotto dalla legge 10.5.1976, n. 346 che recita: <<  La proprietà dei fondi rustici con annessi fabbricati situati in comuni classificati montani dalla legge si acquista in virtù del possesso continuato per quindici anni.
 Colui che acquista in buona fede da chi non è proprietario, in forza di un titolo che sia idoneo al trasferimento della proprietà e che sia debitamente trascritto, un fondo rustico con annessi fabbricati, situati in comuni classificati montani dalla legge, ne compie l`usucapione in suo favore col decorso di cinque anni dalla data di trascrizione.
 La legge speciale stabilisce la procedura, le modalità e le agevolazioni per la regolarizzazione del titolo di proprietà.
 Le disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano anche ai fondi rustici con annessi fabbricati, situati in comuni non classificati montani dalla legge, aventi un reddito non superiore ai limiti fissati dalla legge speciale >>.
Unica differenza con l’usucapione ordinaria e abbreviata di cui all’art. 1159 cc, a parte la specificità dell’oggetto e l’abbreviazione dei termini, è l’esplicito riferimento all’acquisto del solo diritto di proprietà che fa propendere per l’esclusione dalla fattispecie acquisitiva degli altri diritti reali e, quindi, dell’enfiteusi.
La norma opera quando oggetto del possesso sia un << fondo rustico >>: ci vuole la concreta destinazione del fondo al lavoro agricolo  (v. Cass., 1986/2159, in Dir. e giur. agr. 1986, 600). Il terzo comma dell’art. 1159 bis cc fa riferimento ad una procedura  << per la regolarizzazione del titolo di proprietà >>  regolata dall’art. 3 della legge n. 346 del 1976. Quest’ultimo recita:  La richiesta è resa nota mediante affissione dell`istanza per novanta giorni, all`albo del comune, in cui sono situati i fondi per i quali viene richiesto il riconoscimento del diritto di proprietà, e all`albo della pretura, ed è pubblicata per estratto, per una sola volta, nel Foglio degli, annunzi legali della provincia. Nelle due pubblicazioni deve essere indicato il termine di novanta giorni per l`opposizione di cui al terzo comma del presente articolo. La pubblicazione nel Foglio degli annunzi legali della provincia deve essere fatta non oltre quindici giorni dalla data dell`avvenuta affissione nei due albi. La istanza deve essere notificata a coloro che nei registri immobiliari figurano come titolari di diritti reali sull`immobile ed a coloro che, nel ventennio antecedente alla presentazione della stessa, abbiano trascritto contro l`istante o i suoi danti causa domanda giudiziale non perenta diretta a rivendicare la proprietà o altri diritti reali di godimento sui fondi medesimi.  Contro la richiesta di riconoscimento è ammessa opposizione da parte di chiunque vi abbia interesse entro novanta giorni dalla scadenza del termine di affissione oppure dalla data di notifica di cui al comma precedente. Sull`opposizione il pretore giudica con sentenza nei limiti della propria competenza per valore. Tuttavia, quando il valore dei fondi cui la opposizione, si riferisce eccede tali limiti, il Pretore rimette gli atti al tribunale competente.  Quando non è fatta opposizione, il pretore, raccolte, ove occorra, le prove indicate ed assunte le informazioni opportune, provvede  con decreto, per il quale, in caso di accoglimento dell`istanza, si osservano le forme di pubblicità previste dal secondo comma.  Contro tale decreto può essere proposta opposizione entro sessanta giorni dalla scadenza del termine di affissione. Il pretore provvede ai sensi del comma precedente.  Contro il decreto di rigetto il ricorrente può proporre reclamo, entro trenta giorni dalla comunicazione, mediante ricorso al tribunale, che provvede in camera di consiglio.  Il decreto di accoglimento non opposto e la sentenza definitiva passata in cosa giudicata, ove contenga riconoscimento di proprietà, costituiscono titolo per la trascrizione ai sensi dell`articolo 2651 del codice civile.
Sono salvi i diritti che i terzi di buona fede abbiano acquistato da colui che ha ottenuto il decreto o la sentenza di cui al comma precedente, purché l`acquisto abbia avuto luogo in base ad un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda giudiziale con cui si faccia valere sull`immobile un diritto di proprietà od altro diritto reale>>. Questa procedura consente di ottenere un riconoscimento che abbia una portata sostanziale  e, cioè, valore di accertamento del diritto usucapito?  Questione discussa."


...(segue)....


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