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CONVEGNO SU ENFITEUSI Ragusa 5 dicembre 2009


Il Prof. Giacomo Pace è ordinario di Storia del Diritto  Medievale e Moderno nella facolta` di Giurisprudenza dell`Universita` di Messina: "Il ‘contratto d’enfiteusi’:  sopravvivenze del dominio diviso nell’età della codificazione Il volume più famoso della dottrina italiana dell’Ottocento sull’enfiteusi è quello di Luigi Borsari, giurista ferrarese, che  così definisce l’istituto: “L’Enfiteusi è un contratto col quale viene concessa una cosa immobile, in perpetuo o a tempo, verso una pensione o canone che si presta al padrone diretto a ricognizione di dominio”. Emergono già da questa definizione le nervature caratterizzanti dell’istituto: un contratto, un immobile come oggetto del dominio diviso, il canone come corrispettivo del godimento, l’obbligo dei miglioramenti. Elementi che hanno caratterizzato i lineamenti dell’enfiteusi durante il lungo medioevo. Si è voluta ricercare l’origine dell’enfiteusi nelle antiche concessioni di ager publicus romano a coloni o veterani; si sono studiate le vicende bizantine fatte risalire ad una lex dell’imperatore Zenone e a successive modifiche apportate da Giustiniano; si è voluta avvicinare la conformazione dell’istituto ai primi esperimenti del vassallaggio proprio delle popolazioni germaniche. In verità l’istituto dell’enfiteusi nasce nel fecondo laboratorio della prassi medievale, quando si rende necessario sperimentare nuovi strumenti che permettano di coltivare le enormi estensioni di terra coltivabile abbandonate durante l’alto medioevo, ridotte a paludi o boschi, o di ridurre a coltura zone marginali o impervie. E’ così che vengono a definirsi nuove forme contrattuali, come la locatio ad longum tempus, la precarìa, il livello. Si tratta di varie configurazioni con cui si indica la realtà del dominio diviso, che vede da una parte un soggetto, il dominus eminens o directus, titolare di enormi estensioni di terra, e dall’altra il dominus utile, un soggetto che concretamente detiene il medesimo immobile  investendovi lavoro e risorse. Il lungo medioevo raffina le teoriche del dominio diviso, rimanendo sempre ancorato agli elementi della consuetudine, del tempo, dei miglioramenti. Ed è ancora questa la configurazione dell’enfiteusi che vediamo descritta nel Trattato del contratto di enfiteusi di Pothier. La rivoluzione francese non fu tenera con l’istituto, nel quale i giacobini ravvisavano pericolose sopravvivenze dell’odiato regime feudale. E’ così che nel 1790 viene promulgata la legge sul riscatto delle rendite perpetue, che affermava la redimibilità di tutte le rendite fondiarie, permettendo così agli utilisti di consolidare il proprio dominio. Il Code Napoléon del 1804 non comprende l’enfiteusi, senza tuttavia vietarla espressamente; l’art. 530 parla di rendite perpetue sancendone la redimibilità, come era già avvenuto con la legge del 1790. Come per molti altri istituti dell’antico regime la mancata inclusione nel Code Napoléon suonava come una condanna inappellabile. Ma non fu così. I codici preunitari nati in Italia dalla Restaurazione inclusero quasi tutti l’enfiteusi nella sistematica codicistica, con l’unica eccezione del codice albertino, il codice civile del regno di Sardegna, pedissequo seguace del codice napoleonico. Qui tuttavia l’art. 1740 ammetteva una locazione sino a 100 anni riguardante terreni incolti da migliorare. Le novità più rilevanti in materia vennero dal Regno delle Due Sicilie. Qui uno dei problemi più annosi era quello del latifondo e di enormi estensioni di terra poco produttive. La scelta del legislatore borbonico si orientò quindi verso l’introduzione dell’enfiteusi nelle Leggi Civili, parte seconda del Codice per lo Regno delle Due Sicilie del 1819. Le Due Sicilie conoscono una notevole produzione scientifica in materia legata all’importanza economica dell’istituto per la colonizzazione del latifondo. Se l’importanza per l’ex regno di Napoli era rilevante, e testimoniata dalle opere di Liberatore ed Arcieri, per l’ex regno di Sicilia, che aveva conosciuto in pochi anni l’abolizione della feudalità con la costituzione del 1812, il nuovo ordinamento amministrativo del 1817 e il nuovo codice del 1819, e che vedeva lo smembramento degli antichi stati feudali e la contestuale emersione di un nuovo ceto che possiamo già definire borghese, l’enfiteusi così come tratteggiata nel codice delle Due Sicilie ebbe importanza sociale ed economica enorme, costituendo un efficace strumento per la frammentazione dei latifondi risultati dall’abolizione dei feudi. Ciò spiega la particolare attenzione della scienza giuridica siciliana  tributata all’istituto, testimoniata dai fondamentali trattati di Jannelli, Dominici, Duscio, Uzzo.
Il primo progetto Cassinis di codice civile del nuovo regno, del 1861, non contempla l’enfiteusi. Il progetto Miglietti del 1862 vede invece la previsione dell’istituto, ma non tra i contratti, bensì, significativamente, nel Libro II Della Proprietà. Si giunge così ai lavori della Commissione per la promulgazione del Codice civile del 1865: qui Pisanelli svolse una difesa a spada tratta dell’istituto, evidenziandone i vantaggi e il ruolo di promozione della piccola e media proprietà e di frantumazione del latifondo meridionale, che sortì l’inserimento dell’enfiteusi nel codice civile.
L’ultima codificazione contempla ancora l’enfiteusi. Le norme relative inserite nel codice civile del 1942 ebbero una gestazione breve. Il 12 febbraio 1940 venne approntato un primo schema di disposizioni, e già il 4 novembre 1940 Vassalli poteva scrivere al guardasigilli Grandi di avere individuato Piga come relatore del progetto di codice civile per Enfiteusi e Comunione. Paradossalmente il codice civile del 1942 restituiva nuovo vigore  all’enfiteusi, ora inserita a pieno titolo tra i diritti reali".

 
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